E’ una delle
città martiri della Bosnia, dove dall’aprile 1992 al febbraio 1994 i
musulmani bosniaci difesero la loro indipendenza in una guerra civile prima
contro i serbi bosniaci ortodossi, poi contro i cattolici croati.
Abbiamo letto
molto, prima del viaggio con l’organizzazione Trekking Italia, su quella
guerra civile, che ha frantumato la pacifica convivenza delle diverse etnie
che durava da secoli cementata da matrimoni misti, business comuni,
partecipazione alla gestione della città. Oggi, le tre comunità vivono invece
accuratamente separate. Quel che era naturale allora è innaturale ora.
Rimaniamo
perplessi dalla risposta quasi offesa della guida: la sua formazione e il suo
incarico si limita alla illustrazione dei monumenti, della loro storia, dell’arte
del passato, anche recente, ma non si estende alla interpretazione della vita
presente.
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This is one
of the martyr towns of Bosnia, where from April 1992 to February 1994 the
Bosnian Muslims defended their independency in a civil war earlier against
the Bosnian Orthodox Serbs and later against the Catholic Croats.
We read a
lot, before coming here with Trekking Italia organization, about that civil wars
which shattered the pacific cohabitation of the different ethnics that lasted
for centuries, sealed by mixed marriages, common business, participation to
the town management. On the contrary, still today, the three communities live
strictly apart. What was so natural then, is unnatural now.
We get
perplexed by the almost offended answer of the guide: “Me? Sorry but I must
only show you the monuments, the interesting places, the shopping streets, I
don’t want to bore you with these peanuts.
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E una compagna
di viaggio rincara, tutta compunta e quasi piccata: “Non esser indiscreto,
sono problemi loro”!
Impiccione?
Indiscreto? Cultore di notizie choc con cui risollevare gli amici dalla noia
dello sciorinio delle foto di viaggio?
Oppure, ad ammutolirmi
è il senso di colpa retroattivo per lo scarso coinvolgimento con cui ho
seguito a suo tempo l’andamento della guerra, mentre mia figlia, con i
ragazzi delle organizzazioni cattoliche e non, combinavano viaggi a Sarajevo
assediata e bombardata, per portare la loro velleitaria graditissima
testimonianza di vicinanza e di pace?
Magari ci
saranno anche stimoli del genere, ma il nostro interesse nasce piuttosto
dall’abitudine a considerare sempre più gli altri non più come esseri
differenti, come vicini ancora sconosciuti in una società globalizzata. Il
mondo di Erasmus, dei progetti comuni, dei viaggi interrail, del mercato
senza confini; l’etica dei principi di Barcellona fondanti della Unione
Europea (1998), degli obiettivi di sviluppo definiti dai Millennium
Development Goals (2000), della dichiarazione di Madrid sul turismo (2010) ha
ormai toccato pure i “fuori età” come noi.
Vediamo sulle
facciate delle case le tracce dei bombardamenti e attorno a ogni moschea piccola o grande una
selva di tombe bianche con l’invocazione rituale a Allah e le date della
morte ripetute ossessivamente, 1992, 1993.
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And a
travelling companion adds, almost resentful: “Don’t be indelicate, these are their
own problems ”!
Nosy?
Tactless? Maniac of chocking news to use to revitalize the friends bored by
the infinite list of the pictures of the travel?
Or else, to
shut me up is the sense of backdated guilt for the poor involvement with the
Bosnian war, whereas others, like my daughter, took part to missions to Mostar
or Sarajevo besieged and bombed, to bring their unrealistic but hyper-welcomed
witness of nearness and peace?
Perhaps there
will be also urges of the kind, but our interest was rather born by the habit
to stop considering other people as alien foreigners but as neighbors still unknown in a
globalized society.
The world of
Erasmus, of the transnational projects, of the inter-rail travels, of the market
without boundaries, of the Barcelona principles recalling the founding ethics
of the European Union (1998), of the Millennium Development Goals (MGD 2000),
of the declaration of Madrid on Tourism, should be part of the common
culture.
We see on the
houses the traces of the bombings and around each small or big mosque a
forest of white tombs with the ritual invocation to Allah and with the deaths
dates obsessively repeated, 1992, 1993.
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Tra esse vagano
straniti anziani abitanti che tolgono un ciuffo d’erba qui, puliscono una
lapide là, e quando scorgiamo le scritte ripetute “don’t forget”, riecheggia
nella mente il canto alpino “Sul ponte di Perati”: “…la mejo zoventu che va
soto tera” e non possiamo non sentirci coinvolti.
No, giovane
figlio della generazione digitale, il nostro interesse non è ozioso: perché
deriva dalla voglia di capire di persona, senza accontentarci di una
informazione sempre partigiana; perché Dante insegna “nati non foste a viver
come bruti ma per seguir virtute e conoscenza” (canto 26, Inferno); perché
democrazia significa partecipazione, ma partecipazione significa conoscenza;
perché essere cristiani impegna nello sforzo inumano di amare anche i nemici
e, a maggior ragione, i nostri amici.
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Among them
bewildered elderly people walk and eradicate a tuft of grass here, clean a
tombstone there. When we perceive the repeated inscriptions “don’t forget”,
echoes in our mind the mountain song
of war: “the best young people which goes under the earth” and we cannot feel
uninvolved.
No, young son
of the digital generation. Our interest is not vain, because it comes from
the will to understand in person without being pleased of an information
always partisan, because Dante teaches “you were not born to live like
animals but to follow virtue and knowledge”, because “democracy” means
“participation” and “participation” involves “knowledge”, because to be
Christians commits to the inhuman effort of loving also our enemies and, you
bet, our friends.
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Ma … magari ha
ragione il nostro amico, perché per lui siamo “business” e la gestione del
turistico è stata orientata fino ad ora dai postulati del turismo di massa:
economia di scala, rapidità delle visite per “vedere di più”, efficienza,
economicità, ritorno degli investimenti. Per carità! La redditività è essenziale
ma molte sono le strategie per raggiungerla. E se vediamo i turisti solo come
fonte di business e non come persone che apprendono e condividono con gli
ospitanti i valori immateriali dei territori e delle loro comunità, temo che
cloniamo nuovi eco-mostri comportamentali.
E … forse ha
pure ragione il nostro amico perché la grande maggioranza dei turisti questo
si aspetta: veder tanto in poco tempo, visitare e non partecipare, giudicare
senza essere coinvolti, guardare e ascoltare senza correre il rischio di
conoscere.
E allora, perché
non cerchiamo, per quella sottile fetta di visitatori per cui turismo è anche
ma non solo evasione, di creare viaggi della conoscenza delle persone e non
solo dei monumenti e delle cose? Perché non creiamo guide che facciano loro
sentire l’emozione di conoscere e vivere quel territorio; dove incontrano
persone del luogo curiose come loro che manifestano una altrettanto
impellente voglia di capire, attraverso il visitatore, quel mondo esterno che
li può far uscire dagli spazi angusti del quotidiano; dove non visitano solo
i grandi monumenti delle città d’arte, ma gustano in comunità di minor
dimensioni anche la vita locale e possono spiegarsi molte differenze ma anche
molte similarità con essi; dove possono capire non solo la storia, l’arte e
la cultura ormai codificata e classificata in testi, immagini, studi e
commenti, ma anche una cultura differente radicata nella vita e nella
coscienza delle persone?
Così è nato
ONMEST2, un acronimo impronunciabile che rimanda a un “open network for
mediterranean sustainable tourism”, cui si intitola un progetto cofinanziato
dalla Unione Europea, che dietro la leadership del Comune di Ispica coinvolge
alcuni paesi del Mediterraneo (Italia, Spagna, Grecia, Libano, Giordania,
Territorio sotto l’Autorità Palestinese, Tunisia) ma che già sta brigando per
coinvolgerne altri.
ONMEST2 sta
muovendo ora i primi passi verso un turismo diverso, che sarà anche business
sia per il visitato e soprattutto per il visitatore, ma sarà soprattutto un
turismo di relazione, di conoscenza, di condivisione, di rispetto e
esaltazione delle risorse dei territori visitati, di consapevolezza, di gusto
dei cibi creati sotto la guida di donne locali e gustati insieme con loro, di
apprezzamento delle danze e dei canti imparati e realizzati con i giovani
ospitanti, di produzione attenta di oggetti sotto l’ammaestramento di
artigiani locali, dove il visitatore vive tutte queste esperienze mai fine a
se stesse ma inquadrate nella storia, nella cultura, nella vita locale.
Domenico Bearzatto
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But … perhaps
our friend is right, because for him we are “business” and the management of
tourism is so far oriented by the principles of the mass tourism: scale
economy, fast visits to see “more”, efficiency, profitability, return of
investments. For Heavens’ sake! The profitability is essential but many are
the ways to get it. And if we see the tourists only as source of business and
not as persons which learn and share with the hosts the immaterial values of
the territories and of their communities, I am afraid that we clone new
behavioral eco-monsters.
The contact
with the tourists is a precious opportunity also for the hosts to become more
“citizen of the world”, overcome own provincialism, refuse the stereotypes,
widen the knowledge of foreign languages.
And … perhaps
is right also our friend guide, because most of the tourists expect just to
see much in few time, visit without taking part, assess without being
involved, look and listen without running the risk of knowing.
And then, why
don’t we try, for that thin slice of visitors who see tourism not only a way
of evasion, to create travels of knowledge of persons and not only of
monuments and of things? Why don’t we create guides who let them feel the
emotion of knowing and living that territory? Where they meet local
people curious like them and which show a similar urging will of
understanding, through the visitor, that foreign world which can make them
get out from the narrow space of the day-to-day life? Where they visit not
only the great monuments of the cities of art, but experience, in communities
of minor dimensions also the local life and can get aware of many differences
but also many similarities with them? Where they can understand not only the
history, the art, the culture already codified and classified in texts,
images, studies and comments, but also a different culture rooted inside the
life and the conscience of people.
So ONMEST2
was born, an unpronounceable acronym of “Open Network for Mediterranean
Sustainable Tourism”. It is the title of a project co-financed by the European
Union, who behind the leadership of the municipality of Ispica, involves some
countries of the Mediterranean sea (Italy, Spain, Greece, Lebanon, Jordan,
Palestinian Authority Territory, Tunisia) but already working to involve
others.
ONMEST2 is
moving towards a different tourism, who will even be business, but will be
primarily a tourism of relationship, of knowledge, of sharing, of respect and
activation of the resources of the visited territories. It will join the
taste of the dishes realized under the lead of local women and dined
together, the appreciation of the dances and songs learned and performed with
the young hosts and the careful production of
handicrafts under the teaching by local artisans.
The visitor
will never live these experiences as an end in themselves
but framed into the local history, culture, life.
Domenico Bearzatto
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